Danilo Paura

December 7, 2020

PAURA e Nothing To Fear, oltre il prodotto ed i propri limiti: un'intervista con Danilo Paura

Mattia Rinieri

Scrivo di sneakers e dintorni.

Abbiamo intervistato Danilo Paura per parlare di PAURA, del suo processo creativo e dell'imminente DropX.

Abbiamo intervistato Danilo Paura per parlare di PAURA, del suo processo creativo e dell'imminente DropX.

In occasione del primo DropX “italiano”, StockX ha deciso di unire le forze con il brand PAURA di Danilo Paura e supportare il microbiscottificio Frolla tramite il progetto “Nothing To Fear”, già avviato dal brand precedentemente in questo 2020. Per commemorare il lancio di questa long sleeve t-shirt limitata a 50 pezzi che include un voucher per ricevere gratuitamente un panettone artigianale da Frolla e che sarà disponibile dal 10 dicembre, abbiamo intervistato Danilo per fare il punto su PAURA, la sua evoluzione e scoprire di più su Frolla, “Nothing To Fear” ed il suo processo creativo.

Paura di Danilo Paura si è sempre contraddistinto per il suo stile ed il suo design che non si è mai fermato ma è in continua evoluzione. Come sei riuscito a rimanere sempre in movimento e a non fermarti ad una semplice t-shirt o hoodie, ma ad evolverti in campi apparentemente lontani tra loro come il tailoring, la maglieria e le sneakers? Le tue passioni, interessi e le tue “fisse” hanno aiutato l’evoluzione del brand e del tuo processo creativo?

Questo progetto cresce e si porta con sé esperienze, incontri e avventure. La voglia di condividere tutto questo mi porta ad esplorare nuovi mondi e, più questi sono complessi, maggiore è il desiderio di migliorarsi e andare oltre. Io sono assetato, non smetto mai di osservare e di imparare. Questo mondo è pieno di complicazioni, tecniche e segreti: la maglieria ad esempio è per me come la Divina Commedia, non finisce mai, tutto è relativo. Metto me stesso fino in fondo, le mie preoccupazioni, le mie ricerche, i miei sogni ma soprattutto le mie passioni: questo mi tiene sveglio e attivo, cresco e non invecchio. Io e PAURA siamo e saremo sempre degli eterni bambini, entusiasti e coraggiosi; non ci pensiamo proprio a rallentare, ci adattiamo ed evolviamo il nostro pensiero in base a quello che ci circonda e ci tocca.

Il mondo dello streetwear si è evoluto ed espanso in modo molto veloce negli ultimi anni, StockX è stato sicuramente un artefice di questa popolarità, rendendo prodotti molto più accessibili ad un pubblico molto più ampio non necessariamente informato sui prodotti e le storie dietro di essi come il pubblico di qualche anno fa. Tu sei in questo mondo da molti anni, prima di Yeezy, del boom di The Last Dance e di bot e reseller. Come vedi il mondo dello streetwear in questo momento e il ruolo di Paura all’interno della community italiana cui tutti hanno sempre guardato l’estero come punto di riferimento per lo streetwear?

Che significa streetwear nel 2020? L’errore sta proprio nell’inscatolare questo concetto dentro qualcosa di circoscritto e limitato. È aggregazione, è community, è cultura, è condivisione; è come un dialogo che non ha mai fine. L’origine è la strada, ma l’arrivo non esiste, è un movimento continuo e instancabile. Mi sento un po’ un veterano, ma la mia mente non è nostalgica e la passione per le sneakers è tuttora con me: ammiro e rispetto il lavoro fatto da Kanye, Nigo, Virgil, Jerry Lorenzo, Fujiwara ma riesco a mantenere un profilo distaccato, seguendo una direzione personale, legata a quello che sono. StockX è stato il veicolo che ha portato tutto ciò dove nessuno mai avrebbe immaginato, rendendo le storie “della strada” fruibili a tutti e legittimandole. PAURA è autentico da quando è nato: l’idea è quella di portare avanti un racconto, fatto di tanti capitoli diversi, ognuno di essi con il proprio proposito. Sono proprio queste storie che differenziano il mondo streetwear di oggi: il sovrappopolamento visuale dei social ci ha condotto allo step successivo in modo del tutto naturale, dando profondità ed estrema importanza ad ogni singolo elemento o dettaglio. Ho sempre definito PAURA un brand di pensiero, e forse è proprio questo che ci distingue dagli altri: è una responsabilità ovviamente, ma a noi piace farlo cosi. Siamo streetwear e siamo anche sartoriali: da un lato una visione internazionale e contemporanea su quello che succede, dall’altro l’artigianalità e la manifattura italiana. Infine, a fare da collante, il mondo che mi porto alle spalle: dal mio cognome alle mie origini radicate nella Magna Grecia.

Paura DropX in post 3

Veniamo a Nothing To Fear ora. È difficile ricordare un brand di abbigliamento che collabora in modo così diretto ed organico con una realtà legata al territorio e impegnata nel sociale. Come è nato il progetto Nothing to Fear? Come hai “scoperto” FrollaLab?

Frolla è un microbiscottificio nelle Marche, una realtà indipendente che restituisce valore, rispetto e credibilità a tanti ragazzi che altrimenti vivrebbero i loro limiti come disagi. Ho conosciuto Frolla grazie a Walter Cassetta, un mio strettissimo collaboratore, persona che stimo follemente: un giorno mi raccontò di questi biscotti, diversi da tutto quello che conoscevo fino a quel momento, un prodotto speciale che aveva dietro un gruppo di ragazzi con diverse disabilità. Mi sono incuriosito ed insieme al team abbiamo deciso di esplorare questa realtà entrandoci dentro in punta di piedi, dedicando estrema attenzione ad ogni passaggio. Dopo 10 minuti con Jacopo (uno dei soci fondatori di Frolla) non potevo che non essere gasato: vitalità, ottimismo e semplicità. Ci siamo subito messi al lavoro e siamo andati nel concreto, con il desiderio di supportare la loro mission senza nessun business plan, ma con la sola voglia di promuovere un progetto locale che ha tutte le basi per essere apprezzato worldwide. “Nothing to Fear” è forse sempre stato lì, nel mio inconscio e non me ne ero mai reso conto: il concetto di paura me lo porto dietro da quando sono nato, ma cosa sta a significare nel mio piccolo? Le riflessioni durante la quarantena mi hanno portato una risposta chiara e definita. È stato tutto molto semplice: ci siamo confrontati, abbiamo fuso conoscenze e competenze. Siamo stati rapidi, uniti, concreti e determinati: una risoluzione mai vista prima, spettacolare. E siamo solo all’inizio: con Frolla vogliamo spingere l’asticella oltre al limite, vogliamo seguire l’istinto, “lavorare” senza freni ne costrizioni tenendo bene a mente che ciò che ci distingue è il come e il perché facciamo tutto questo.

Durante gli ultimi mesi, molti brand sono stati costretti a rivedere le proprie filiere produttive, eventi e strategie distributive a causa del COVID che li ha spinti a diventare più locali ed essere più vicini ai propri consumatori. Paura è un brand interamente Made in Italy, uno dei pochi probabilmente, ed il progetto Nothing to Fear rispecchia questo approccio. Come gli ultimi mesi hanno cambiato il brand? Vi siete trovati davanti ad una rivoluzione o il vostro modo di operare vi ha facilitato la transizione verso questa nuova normalità?

Siamo un brand indipendente, totalmente made in Italy. Quello che stiamo vivendo è un momento caotico e incerto, una prova durissima da superare: non basta la forza di volontà, la dedizione, il coraggio o la professionalità. A noi come a moltissimi altri sono cambiate le abitudini, gli orari, i metodi, gli strumenti: il cambiamento è epocale quanto democratico, molte cose non torneranno come prima. Noi siamo vivi, forse addirittura più di quanto non lo fossimo prima: siamo abituati a soffrire, ci circondiamo di sfide, mettiamo alla prova noi stessi, ci sporchiamo le mani e combattiamo. La parola “arrendersi” non ha mai fatto parte del nostro vocabolario: questi sono i momenti che ti danno un’opportunità, quella di trovare soluzioni, quella di mettersi alla prova, quella di re-inventare processi e innovarti. Durante il primo lockdown è nato “Nothing to Fear”, un progetto etico, puro e soprattutto inclusivo e reale. Collaboriamo con Frolla, un microbiscottificio ad Osimo, nelle Marche, che ha trasformato le debolezze delle persone che ci lavorano nella loro forza. NTF, acronimo del progetto, scrive una pagina importante nella storia di PAURA, scardinando ogni dinamica commerciale e di mero business: l’intento è quello di essere da esempio per tutti colori che vivono i limiti e gli ostacoli come un freno e non come una sfida da superare. La paura come forza superiore che non ci fa dormire, che ci mette in competizione con noi stessi, che ci fa rincorrere un obiettivo fino a che non lo abbiamo tra le mani.

Nel corso degli anni hai collaborato con diversi brand, Diadora, Superga e G-Shock. Tutti avevano un prodotto da offrire come tela su cui apporre la tua firma. Nel caso di FrollaLab è diverso. La connessione non è basata sul prodotto ma su un’idea. Come questa cosa ha influito su Nothing to Fear? Pensi che sia un suo punto forte?

Come dicevo prima PAURA è un brand di pensiero: ogni collaborazione nasce da un’idea, un concetto su cui indaghiamo, un concetto che analizziamo, esplodiamo e poi facciamo nostro. È un momento storico in cui il mondo sente la mancanza di appigli reali e storie che facciano sentire le persone veramente parte di qualcosa, per allontanarsi dall’omologazione che l’hype indirettamente ha sviluppato, per diversificarsi. Se consideriamo i prodotti su cui abbiamo lavorato in questi anni, ciò che li accomuna è l’iconicità. Un’icona non è solo una tela su cui mettere la propria firma: è un mostro sacro da rispettare, maneggiare con estrema cautela, senza snaturarlo ma dandogli un valore aggiunto, la mia idea. Gli esempi sopracitati ne sono la dimostrazione: dall’Alpina di Superga, il nostro combat boot che rappresenta il desiderio di lottare per sé stessi, alle Diadora che stabiliscono una connessione immediata con l’heritage del brand e la mia passione per lo sport e il senso di community che ne deriva. Se poi prendiamo G-Shock e la sua campagna tutte le parole spese fino adesso acquistano un significato più alto: il prodotto c’è ma non c’è, la forza di un simbolo da una parte, la comunicazione moderna dall’altra.

Ad oggi, il prodotto non basta: è un punto di partenza, un foglio bianco che deve essere colorato, stressato e fatto proprio. Questo per dire che tutto quello su cui lavoriamo insieme al team è frutto di un brainstorming, di idee che si sovrappongono e vengono a collimare per un obiettivo comune.