Oggi se pensiamo a Nike, probabilmente la prima scarpa che ci viene in mente è la Air Force 1. A distanza di quasi quarant’anni dalla sua creazione, la silhouette classe 1982 è diventata una delle scarpe più riconoscibili del marchio americano, riuscendo a mantenere il suo status di leggenda per tutti questi anni. Molto tempo fa, però, c’è stato un momento in cui la AF-1 ha rischiato di scomparire. Prima di raccontarvi la nostra storia occorre fare una piccola premessa.
Correva il 1982, anno nel quale Bruce Kilgore, designer Nike, diede vita alla prima Air Force 1. Solamente cinque anni prima, l’ex ingegnere aerospaziale Franklin Rudy, propose a Nike l’utilizzo di una tecnologia che prevedeva che l’aria, pressurizzata all’interno di una sacca di uretano, flessibile e resistente allo stesso tempo, si sarebbe compressa all’impatto per riprendere immediatamente la forma originale per un massimo ritorno di energia. Nacque così la tecnologia Air. La Air Tailwind, nel biennio 1978/1979, fu la prima scarpa da corsa ad esserne dotata. Nel frattempo, oltre a quelle da running, Nike iniziò a produrre anche le prime silhouette dedicate al basket, come le Bruin e le Blazer. Soprattutto la seconda, grazie ai Trail Blazer e a George Gervin “ICEMAN”, uno dei primi endorser del brand di Beaverton, riscontrò un buon successo anche tra il pubblico.
Per vedere la vera novità in catalogo bisognerà attendere il 1982, anno nel quale Nike presenta al mondo intero la prima Air Force 1. Nonostante la tecnologia Air con la prima Tailwind avesse dato qualche problema dovuto alla fragilità della suola, tralasciando il discorso dovuto al prezzo di vendita poco competitivo, che aveva favorito i competitor, si decise comunque di dar vita alla prima silhouette basket dotata di un’intersuola con la tecnologia Air: la Air Force 1. Il progetto venne assegnato a Bruce Kilgore, il quale stravolse completamente le “regole” di assemblaggio delle calzature sportive Nike. La AF-1, assemblata inizialmente nel primo Sports Research Lab di Nike nel New Hampshire, fu la prima scarpa del brand americano ad avere la tomaia tirata e fissata direttamente sull’intersuola. Questo, oltre a garantire una maggior resistenza, le conferiva una maggior leggerezza e flessibilità.
Per il design della scarpa, Kilgore si ispirò alla Nike Approach, uno scarponcino da trekking dell’epoca. A livello estetico cambiarono varie cose, come per esempio il battistrada. Se fino a quel momento le scarpe da basket erano dotate di una suola a “spina di pesce” (ne è un esempio la Blazer), con l’Air Force 1 venne inserito un nuovo pattern circolare che facilitava i movimenti degli atleti. Inoltre sul collar venne aggiunto uno strap che, oltre a tenere più salda la caviglia, rendeva più fluidi i cambi di direzione.
Arrivati a questo punto accade una cosa molto importante, che sarà fondamentale per la storia che vi stiamo per raccontare. Per il lancio ufficiale, infatti, Nike decise di mettere sotto contratto 6 giocatori NBA: Moses Malone e Bobby Jones dei Philadelphia 76ers, Michael Cooper e Jamal Wilkes dei Los Angeles Lakers, Calvin Natt e Mychal Thompson dei Portland Trail Blazers. Inutile a dirlo che il successo fu travolgente. Soprattutto fra il pubblico. Così a distanza di un anno dal lancio ufficiale, il brand dell’Oregon decise di rilasciare anche una variante low dello stesso modello. Fino a qui tutto bene, se non che Nike, arrivata ad un certo punto, decise di ritirare le AF-1 dal mercato. Siamo nel 1984.
Ecco, è proprio in questo momento che entrarono in scena i nostri “Three Amigos”. Anzi in realtà inizialmente erano solamente due. Diversamente da come siamo abituati oggi, all’epoca il “ciclo di vita” di una scarpa era molto breve. Per Nike, che aveva poi come mission l’evoluzione tecnologica, era una cosa all’ordine del giorno. Un anno o poco più. Lo stesso Kilgore si era già messo all’opera per creare la Air Force 2 e poi non dimentichiamoci, che proprio nel biennio 1984-1985, Nike diede vita a modelli leggendari come la Terminator, la Air Jordan 1 e la prima Dunk Hi. Il ritiro della Air Force 1 aveva lasciato con l’amaro in bocca moltissimi appassionati che iniziarono a personalizzare anche vecchie paia, seguendo un po’ l’onda delle versioni date agli “Original Six” durante le partite. Quelle che poi in realtà possono essere considerate come alcune delle prime PE, senza dimenticarci naturalmente della Blazer “Iceman” di George Gervin citata prima.
Siamo in America e due dei negozi che hanno vissuto a pieno la Air Force 1 Mania sono Charley Rudo Sport e Cinderella Shoes. Gli stessi che dopo il ritiro della AF-1 si accorsero fin da subito di come questa scarpa avesse fatto breccia nel cuore della gente. Ed è da proprio questi due negozi che nacque l’idea di chiedere a Nike di far tornare sugli scaffali la nostra benamata. In una sua intervista al uscita in occasione del venticinquesimo anniversario di AF-1 nel 2007, Harold Rudo, all’epoca buyer del negozio Charley Rudo Sport (di proprietà del padre) ammise che quando insieme a Paul Blinken (buyer di Cinderella Shoes) propose a Nike di far tornare la Air Force 1, il brand americano impose un ordine di 1200 paia per ogni singola colorazione. Ora potrebbero sembrare poche (anche se in realtà vi assicuro che non lo sono affatto), ma pensate per un singolo negozio all’epoca, sprovvisto oltretutto di un e-commerce, quanto poteva essere difficile venderle tutte. Considerando anche che la rete di trasporti non era efficiente come oggi. Se poi vediamo come andarono realmente le cose, anziché una sola, le colorazioni ordinate all’epoca furono in realtà due. Una bianca e blu mentre l’altra marrone, che a detta di Nike sarebbe stata anche molto difficile da vendere.
Inutile a dirlo che le scarpe furono vendute tutte. Da qui l’idea dei due negozi di creare una colorazione al mese di Air Force 1. I due negozianti avrebbero scelto i colori mentre Nike avrebbe imposto le quantità da ordinare. Così Nike, che in realtà credeva molto nei due negozi e sapeva benissimo che il mercato era in fermento, decise di aumentare le quantità delle scarpe da 1200 a 1800. Un numero che sia Cinderella shoes che Charley Rudo Sport non potevano gestire. Serviva un negozio in più e la scelta ricadde su Downtown Locker Room, oggi più conosciuto come DTLR.
La colorazione del mese portò una ventata di freschezza enorme alle radici di quel fenomeno che da lì a qualche anno avrebbe preso il nome di Sneaker Culture. Da Baltimora a New York, passando per Philadelphia, la gente si muoveva solamente per cercare di accaparrarsi la amata colorazione del mese. I negozianti venivano fermati per strada dalla gente che cercava di capire quale colorazione sarebbe uscita il prossimo mese. Tutti volevano la Air Force 1. “The Three Amigos” non soltanto avevano salvato la Air Force 1, avevano anche iniziato a gettare le fondamenta di quello che in futuro sarebbe stato il successo di Nike. Senza di loro probabilmente non avremmo assistito nei due decenni successivi alle AF-1 protagoniste con i programmi ID e CO.JP, che tra l’altro sono stati due tasselli fondamentali per plasmare quella che oggi viene definita da tutti come Sneakers Culture, o icone nel mondo dell’hip-hop o della moda. Ancora oggi la Air Force 1 è una delle scarpe più vendute di Nike, con quasi 12 milioni di paia vendute all’anno e parte di questo successo lo dobbiamo a loro che hanno sempre creduto nel successo di questo modello.