Editoriale - Aprile 12, 2022

On The Ground: Valerio Coretti

On the ground: storie di persone, streetwear e città. In questo episodio scopriamo la realtà di Valerio Coretti

On the ground: storie di persone, streetwear e città. In questo episodio scopriamo la realtà di Valerio Coretti

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Questa è una serie di storie di individui che raccontano sé stessi, le loro passioni e il loro lavoro. Persone unite da un punto di vista chiaro e determinante verso il cambiamento dei trends all’interno delle principali città italiane, quelle in cui sono nati, in cui vivono o in cui hanno vissuto. Ognuno di loro fa parte di un mondo diverso, molti sono legati all’urban culture, altri alla moda, all’arte o al design. Analizzeremo i loro traguardi personali e soprattutto quali sono stati i cambiamenti chiave nello streetwear e nella moda rispetto alla loro visione ed alla loro città. La prima città in cui sono stata è Roma, dove ho incontrato Valerio Coretti, che ci ha parlato del suo lavoro e della sua storia.

Chi sei? Cosa fai? Raccontaci di te…

Mi chiamo Valerio Coretti, ho 29 anni e sono un imprenditore. Possiedo due aziende NXTGN e NXTGN Workshop: una si occupa di consulenza e l’altra si occupa di produzione e commercializzazione di abbigliamento. In entrambe le aziende occupo il ruolo di managing director, do una visione e direzione al business e coordino le risorse. Ho il compito di dirigere e dirimere tutte quelle che sono le questioni dello sviluppo delle due realtà e di contro ho responsabilità sull’andamento del business, tutto ciò che è il revenue stream e del PNL di entrambe le aziende.

Da dove sei partito? Come sei arrivato a fare quello che fai?

Mi sono laureato in filosofia e sono finito a fare tutt’altro. A 24 anni abbiamo incontrato Massimo Degli Effetti, storico proprietario della boutique romana “Degli Effetti” che negli anni ‘80/’90 ha portato in Italia per la prima volta brand importanti come Miyake, Comme Des Garcon, Bape etc.. Una realtà che ha saputo lasciare una traccia profonda in quella che è la storia di un certo tipo di moda in Italia. Mi ha stimolato ad avere una visione dell’industria come un insieme di significati e mi ha insegnato a saper valutare un progetto anche per il suo aspetto valoriale, non solo commerciale. Mi ha dato la possibilità di confrontarmi con sfide reali, tra cui lo svecchiamento del parco brand di cui ha avuto bisogno dopo il 2010. La moda in quel periodo ha avuto una grande trasformazione e ancora oggi ne vediamo le conseguenze con A Cold Wall, Ambush, 424, lo streetwear con un particolare occhio alle strutture e al design.

Dopo questa esperienza abbiamo affinato le nostre capacità all’interno del gruppo internazionale “Tomorrow London Holdings Ltd”, dopo essere stati avvicinati da Giancarlo Simiri, Co-Founder dell’azienda che ci aveva fortemente voluti. Credo che abbiano visto in noi quello stesso spirito che li ha spinti poi verso l’acquisizione dei brand e i designer su cui poi hanno investito: persone giovani, molto affamate di conoscenza, appassionate, un po’ nerd di questo mondo. 

Valerio parla al plurale perché nelle sue esperienze è compreso sempre Federico Barengo, suo business partner e grande amico. Si sono conosciuti anni fa su un gruppo Fb “Yves Saint Laurent Paris. Buy, Sell, Trade” e da lì è stato “un connubio felice”.

Sei uno de fondatori di NXTGN, parlami del progetto e di che cosa vi occupate?

Io e Federico avevamo voglia di creare qualcosa di nostro che avverasse la nostra visione al 100%. Forti del fatto che avevamo già avuto richieste di consulenze, abbiamo trovato il coraggio di mollare tutto e di creare la nostra realtà. Siamo stati bravi, ma come dico sempre, si è sempre più fortunati che bravi, le varie coincidenze e le conseguenti scelte, ti fanno rendere conto che tutto è estremamente labile, la bravura sta più nel consolidare e dare forma alle opportunità. Abbiamo iniziato in due, volendo offrire non solo strategia ma anche operatività dedicata, volevamo un modello che potesse sviluppare un progetto dal brand design, al prodotto, alla comunicazione, alle PR etc. e in generale su cui i clienti potessero scaricare l’operatività dei progetti su cui andavamo a operare.

Poi abbiamo avuto bisogno di qualcuno che fosse nel mondo delle PR e che ci potesse connettere ad artisti di prima fascia, non solo a livello italiano ma anche europeo e internazionale, quindi abbiamo chiamato Paolo Sarimari, che aveva appena lasciato adidas e che è diventato nostro socio. Ci tengo a sottolineare che è stato fatto un investimento zero e, dopo un anno circa, siamo intorno ad 1 M di fatturato, abbiamo iniziato come smart company, super funzionale alla necessità del cliente e che non richiedesse investimento e anche in piena pandemia, il business si è rivelato sostenibile. Poi ci siamo strutturati, abbiamo iniziato a crederci ed è arrivato anche un quarto socio, che si occupa della parte amministrativa e abbiamo anche ingrandito il team, che oggi si aggira tra tra interni ed esterni, intorno alle 12 persone.

Quale brand in assoluto rappresenta te stesso e il tuo immaginario e perché?

Il mio approccio alla moda, prende le distanze dai progetti che spesso ci troviamo a curare. Prendo ispirazione da quello che è il mondo del cinema e dai personaggi che popolano la sua storia, da Marcello della Dolce Vita, a Neo e Morpheus di Matrix, personaggi che avevano un abbigliamento menswear classico. Forse anche per una questione di antitesi riguardo a quello che è il mio aspetto. 

Sono arrivato a provare una sorta di venerazione per Hedi Slimane che è l’unico designer che invece di sfruttare le sottoculture, ne è stato parte integrante, a partire dal rock nei primi anni del 2000, da allora direttore Menswear di Dior. La sua narrazione si basa sulla genuinità, al limite dell’integralismo e secondo me con Céline, che poi è il brand che colleziono, ha fatto una rilettura degli anni ‘60/’70 in chiave europea partendo dalla musica, all’arte, facendo un refitting di quegli anni pazzesco. Il livello qualitativo sartoriale e costruttivo è incredibile. Il precedente lavoro fatto da Saint Laurent era decisamente più industrializzato. Ha lasciato intatti i codici comunicativi e il valore intrinseco, senza cedere alle dinamiche di impoverimento e di emulazione sterile, come spesso vediamo nella moda. In questo, ha sicuramente anticipato di gran lunga discussioni molto attuali, prima fra tutte quella dell’estensione del ciclo di vita del prodotto di abbigliamento.

Quali sono gli step fondamentali per portare un brand al successo secondo te?

Prendo in esempio Garment Workshop, di nostra proprietà e gestito interamente da noi – a differenza degli altri progetti che curiamo per conto terzi sotto NXTGN. Da settembre ad oggi siamo intorno alle 5000 unità vendute in meno di 6 mesi. Se prendiamo in analisi le operazioni di marketing nella moda, i brand operano cercando di vendere il sogno, far credere alle persone che attraverso quell’acquisto, l’associazione di loro stessi a un marchio possa far diventare l’individuo qualcosa di diverso da quello che è. Noi abbiamo cercato di decostruire questo tipo di narrativa e cercare di connettere il prodotto e le persone in modo nuovo e diretto, cercando di creare un qualcosa in cui possano rispecchiarsi e che possa essere a servizio delle loro esigenze e delle loro vite e da utilizzare tutti i giorni. Questo è stato fatto anche portando il cliente dentro il processo produttivo, quindi nella totale trasparenza dei processi e dei costi. Cerchiamo di offrire uno spaccato di quello che è lo sforzo collettivo di ciò che è il realizzare capi.

Le case di moda si basano sulla figura del direttore creativo, ma dietro ci sono tantissime persone che hanno ruoli diversi e che permettono la realizzazione di un capo. Credo sia giusto che vengano raccontate tutte le  parti e dei ruoli del processo creativo ed è quello che cerchiamo di fare noi. Value for money: altissimo livello di manifattura e qualità del prodotto realizzato perlopiù in Italia. Abbiamo anche deciso di non vendere attraverso i negozi ma di caricarci interamente della distribuzione, questo per evitare gli sprechi, i costi di magazzino e tenere i prezzi contenuti accorciando la filiera. il 25 e 26 febbraio c’è stato il nostro primo Pop-up da Dropout a Milano, è stato un vero successo e quasi tutti i capi sono andati sold out.

Quali sono i trend che hanno contraddistinto Roma e che hanno condizionato l’andamento della moda in questi anni?

Per uscire un po’ da questa mia eleganza classica, soprattutto d’estate, sdrammatizzo i miei outfit con delle Vans Slip-on, che sono delle scarpe autentiche e che richiamano perfettamente il discorso che ho fatto prima parlando di Hedi Slimane. Scarpa legata alla sottocultura rock, hardcore punk, al surf, allo skate, la stessa da sempre, che è riuscita a non essere mai fuori moda, perché non è dentro le mode ma è semplicemente uno statement culturale amovibile.

Ciò che oggi definiamo sottocultura, alla fine degli anni ’90, inizi 2000, era cultura mainstream. Gli anni in cui accendevi la televisione e su MTV mandavano in continuazione Skater Boy di Avril Lavigne e ancora la sottocultura skate incontrava un pubblico generalista di noi bambini davanti alla tv che guardavamo il Wrestling su GXT channel.