Editoriale - Luglio 12, 2022

On The Ground: WOC

On the ground: storie di persone, streetwear e città. In questo episodio scopriamo la realtà di Flavio Rossi, in arte WOC

On the ground: storie di persone, streetwear e città. In questo episodio scopriamo la realtà di Flavio Rossi, in arte WOC

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Questa è una serie di storie di individui che raccontano sé stessi, le loro passioni e il loro lavoro. Persone unite da un punto di vista chiaro e determinante verso il cambiamento dei trends all’interno delle principali città italiane, quelle in cui sono nati, in cui vivono o in cui hanno vissuto. Ognuno di loro fa parte di un mondo diverso, molti sono legati all’urban culture, altri alla moda, all’arte o al design. Analizzeremo i loro traguardi personali e soprattutto quali sono stati i cambiamenti chiave nello streetwear e nella moda rispetto alla loro visione ed alla loro città. Dopo essere passata a Roma e Milano mi sono spostata a Torino dove ho incontrato Flavio Rossi, giovane artista e creativo, che ci ha parlato del suo lavoro e della sua storia e della sua collaborazione con Virgil Abloh.

Chi sei, cosa fai, raccontaci di te.

Mi chiamo Flavio Rossi, in arte WOC e sono un artista visuale. Mi occupo principalmente di creazione di contenuti visivi, nello specifico dipinti e disegni grafici, per la maggior parte fisici che spesso vengono tramutati in digitale e che possono essere applicati in varie situazioni. Parto sempre da un prodotto analogico, pittorico, realizzato a mano, che poi viene trasformato in base all’esigenza e applicato in più ambiti. Dalla musica, all’abbigliamento ad un’ opera pittorica da appendere.

Da dove sei partito? Come sei arrivato a fare quello che fai oggi?

Faccio questo da sempre, sin da bambino, da quando mi ricordo di esistere. Ho frequentato il liceo artistico, poi l’accademia di belle arti – indirizzo pittura – qui a Torino, poi ho iniziato il mio percorso e ho continuato in maniera autonoma a lavorare ai miei progetti.

Ti sono stati commissionati dei lavori da Virgil Abloh ed ha indossato t-shirt con le tue stampe. Come siete entrati in contatto e come avete iniziato a collaborare?

Tra i tanti progetti che ho realizzato per alcuni periodi, quello che mi ha appassionato di più è stato quello di disegnare sneakers. Piuttosto che comprarmela (ride), iniziai a fare questa serie di disegni sul mio taccuino. Ogni disegno usciva in concomitanza con il Drop di quella determinata sneaker, così ho disegnato la Jordan 1 della serie “The Ten” di Virgil Abloh. Postai su instagram questo disegno fatto a matita in cui l’ho taggato, così mi ha scritto in DM, chiedendomi se avevo voglia di lavorare per delle grafiche per Off-White. Ai tempi era chiaramente “nell’Hype” e il progetto “The Ten” era l’unico che stava portando avanti. Diciamo che siamo entrati in contatto nella sua fase di partenza, che poi l’ha portato all’apice, quindi verso la fine del 2017. Ovviamente accettai e da quel momento è iniziata la nostra collaborazione, sostanzialmente tra me e lui, perché ci siamo sempre sentiti tramite messaggi, non mi sono mai interfacciato al suo team o direttamente all’azienda. Mi ha fatto richieste di artwork ispirati a qualsiasi cosa, mi mandava la foto di ciò che voleva e io rispondevo con il lavoro finito. 

C’è una sua foto della Fashion Week Women di Parigi del 2019, in cui indossava una maglietta con la mia grafica di Paris Hilton e Nicole Richie, disegnata per l’occasione per le t-shirt destinate allo staff di OW. Ero in vacanza a Berlino e mi arriva un suo messaggio in cui mi chiedeva la grafica, entro la settimana successiva, è stata l’unica volta in cui sapevo avrebbe utilizzato un mio lavoro da lì a poco, perché la maggior parte delle volte passava anche un anno tra la consegna e l’impiego. Il nostro rapporto è andato avanti fino a quando, purtroppo, è venuto a mancare.

Quanto è stato importante per te e per il tuo lavoro entrare in contatto con un personaggio così rilevante nel mondo streetwear?

Non ci siamo mai visti di persona, ma mi rendo conto che quando sei un essere umano così leggendario, muori ma quello che hai fatto e il tuo spirito creativo rimangono. É brutto da dire ma morire in un momento in cui sei così all’apice, non può far altro che renderti a prescindere una leggenda. Mi chiedo se ha fatto tutto quello che ha fatto perché sapeva che avrebbe avuto dei problemi di salute, magari un giorno qualcuno ce lo spiegherà. Per chi fa un lavoro come il mio, o come il tuo, un lavoro di creativo insomma, è importante che qualcuno che reputi un maestro, un punto saldo, un’ispirazione, ti dia consapevolezza che il tuo lavoro è fatto in una certa maniera e da questo punto hai l’obbligo di non farlo scendere sotto un certo livello e la necessità di mantenere uno standard alto. Averlo fatto per una figura come la sua ha sicuramente alzato l’asticella e di parecchio, ma mi ha dato anche la consapevolezza che quello che sto facendo è fatto in maniera professionale. Essere entrato a contatto con una persona di questo calibro e aver realizzato dei lavori per lui, mi ha sicuramente dato sicurezza, che ti porti avanti per tutti i progetti a venire, del tempo e di quello che fai.

Sei uno dei fondatori di Italia 90, spiegaci come nasce l’idea e in che direzione vi state muovendo.

Italia90 nasce nel 2017, in una baracca in mezzo ai campi. Tutto è iniziato perché ci siamo trovati tra le mani vari pezzi di tessuti firmati originali, con i quali abbiamo iniziato a fare prove per cercare di capire come impiegarli. Abbiamo provato a creare accessori, a incollare pezzi a caso e con il passare del tempo abbiamo sperimentato di tutto, è un progetto che ancora oggi rimane una cosa molto sperimentale, artistica, concettuale, più che effettivamente un un business, un progetto commerciale. Una peculiarità è proprio quella che all’interno del progetto gravitano diverse persone che contribuiscono, a seconda della mia direzione, a volte c’è la musica, a volte un artista che mette il suo disegno su una tee, facciamo styling per artisti, etc.. Se vuoi, questo è anche un po’ il concetto che Virgil ha strutturato, prendere in giro, farsi ispirare da input diversi, generare una community. I primi prodotti usciti erano proprio queste t-shirt con toppe, tipo bogo, di Gucci, Louis Vuitton, poi siamo passati a rifoderare sneakers, poi siamo passati per l’azienda in cui siamo oggi, per creare capi confezionati da noi e se la guardiamo con ottica attuale, abbiamo fatto una collezione riciclando jeans, abbiamo pensato di creare una progetto slow fashion ancora prima che fosse di moda e senza nemmeno esserne così consapevoli. Attualmente stiamo lavorando ad una linea di merchandising, capi più semplici da promuovere alle feste e alle serate che organizziamo e curiamo.

Quali sono secondo te i trend che hanno contraddistinto Torino e che hanno condizionato l’andamento della moda in questi anni?

Un trend storico imprescindibile è sicuramente F.R.A.V, nel 2010 più o meno, c’era la coda fuori in qualsiasi giorno della settimana. Diciamo che sicuramente non ci sono mai stati trend contemporanei, è sempre stato tutto molto provinciale. Sempre in quegli anni lì, andava molto forte la cultura skate e quindi quel tipo di abbigliamento. Quando ero ragazzino c’era anche “El Santo”, questo brand di skateboarding che produceva tavole,  abbigliamento e avevano anche un team di skater, era una cosa molto figa. Poi il buio totale. Da pochi anni questa cultura è tornata ad avere la visibilità che si merita e credo che rispetto a prima venga anche spiegata di più e questo rende il tutto un po’ più real. Fino a pochi anni fa secondo me, il pubblico non sapeva niente. Il fenomeno Supreme ha sicuramente contribuito alla diffusione e ad essere sincero, un po’ di hype ci deve essere, serve.