Cinque puntini, un logo così estremamente semplice ma che racchiude un significato enorme. Cinque semplici puntini nei quali sono contenute tutte le conoscenze, gli sforzi e le speranze di un brand che da sempre ha fatto dell’innovazione e della sperimentazione tecnologica il suo punto di forza. Non è un caso se l’Alpha Project sia nato dalla mente di Nike, così come non lo è il fatto che a gettare le basi di questo progetto siano stati modelli come le Air Foamposite One e le Zoom Spiridon nel biennio 1997/1998. Se l’Alpha Project è nato nel 1999, è semplicemente una conseguenza del processo creativo che negli anni precedenti aveva portato Nike a dar vita a modelli rivoluzionari, sia dal punto di vista del design che da quello tecnologico, capaci di sconvolgere tutti i canoni dell’epoca. Le luci della ribalta, che avrebbero mostrato l’influenza e il successo di questo progetto, sarebbero stati i ventisettesimi giochi olimpici di Sidney 2000.
Atto I
Nel 1999 l’Alpha Project venne assegnato a Michael Morrow, che nel ruolo di Direttore Creativo Globale aveva come primo compito quello di trovare la giusta identità visiva al progetto. Morrow decise di affidarsi a Ken Black, che in poco tempo diede vita ai “Cinque Punti”, un logo molto essenziale ma in grado di armonizzarsi perfettamente se posto su diverse categorie di prodotto. L’obiettivo fin da subito era quello di creare un logo che potesse completare quello dello swoosh, anziché rimpiazzarlo o sovrastarlo.
“Five letters indicating five steps we take to ideate, create, test, and prove these products — starting with the first one, alpha, which is always talking to athletes. This provided a narrative to guide more development and conversations connected to these products. It also gave us the simple direction for our primary mark, which was simply five dots.”
I “Cinque Punti” sarebbero dovuti diventare un segno distintivo per chi fosse stato a conoscenza dell’Alpha Project, ma allo stesso tempo, per coloro all’oscuro del progetto, sarebbero dovuti essere in grado di scomparire all’interno del design stesso della scarpa. Era questa l’impresa più ardua per il team di designer Nike, creare un logo capace di convincere più persone che praticavano diversi sport ad acquistare un prodotto sotto un’unica identità visiva.
Una volta trovato il logo, serviva la giusta campagna per lanciare il progetto nel migliore dei modi, poiché l’altro obiettivo dell’Alpha project era quello di riscrivere le regole anche dal punto di vista del marketing. Così nel capodanno del 1999, sotto la guida del regista Michael Bay, autore di capolavori come “Armageddon” e “Bad Boys”, Nike fece uscire una serie di spot per annunciare al mondo intero l’Alpha Project.
Atto II
Le scarpe passate alla storia come le prime dell’Alpha Project, furono le Zoom Citizen, delle scarpe da running adatte alle lunghe distanze che presentavano l’unità Zoom Air sia sull’avampiede che sul tallone. Negli anni successivi vennero lanciati anche altri modelli leggendari: le Nike Zoom GP, utilizzate da Gary Payton, con le quali si metteva in risalto una tecnologia solitamente utilizzata negli scarponi da snowboard ma applicata perfettamente a una scarpa da basket, e le Nike Zoom Beyond, utilizzate da Andrè Agassi e contraddistinte da un’unità Zoom Air visibile nell’intersuola e una fodera interna in Dri-FIT.
Nonostante il dipartimento a giovare di più dell’Alpha Project sia stato Nike Basketball, che proprio in quegli anni diede vita a modelli memorabili come le Flightposite, le Nike Zoom Flight 2K3, le Nike Air KG Series, le Air Zoom Ultraflight e le Nike Shox Series, è nel running che Nike e l’Alpha Project hanno fatto l’en plein. Qui la storia si ricongiunge con le olimpiadi di Sidney 2000.
In occasione dei ventisettesimi giochi olimpici, infatti, Nike presentò al mondo intero le Air Presto, delle scarpe composte da una calza in nylon sorretta da una gabbia in TPU. Il modello fu ideato da Tobie Hatfield, fratello minore di Tinker, il quale riuscì a elevare il concetto di “sock shoes” già intrapreso da Nike nel decennio precedente con modelli come le Air Huarache, le Air Flow e le Sock Racer. Per il lancio della silhouette venne utilizzato lo slogan “T-Shirt for your feet” ed è questa la motivazione per la quale le Nike Air Presto dei primi anni 2000 e alcune riedizioni più recenti hanno la scala taglia che va da XXS a XXL, anziché la tabella numerica standard.
Inoltre, le Air Presto portarono un’ulteriore novità: per la prima volta Nike introdusse delle stampe digitali per creare tomaie con pattern diversi dai soliti. Questo permise di lanciare un modello in tredici colorazioni diverse in una sola volta, una cosa che fino a quel momento non era mai capitata. Le olimpiadi si rivelarono fondamentali per l’Alpha Project, in quanto l’ultimo tedoforo ad accendere il famoso braciere olimpico fu l’atleta Cathy Freeman, che proprio in quell’occasione indossava un paio di Air Presto “Abdominal Snowman”. Il successo più grande però l’ottenne il team USA nel basket, che vinse un oro olimpico grazie a giocatori del calibro di Kevin Garnett e Vince Carter, i quali indossavano rispettivamente le Flightposite II e le Shox BB4, entrambe silhouette nate dall’Alpha Project.
Atto III
Nonostante siano passati più di vent’anni e molti dei modelli nati all’interno dell”Alpha Project siano spariti dai radar, l’eredità di questo progetto continua a vivere nel tempo. Nel corso degli anni Nike ha provato più volte a rilanciare i modelli protagonisti del progetto, ma poche volte è riuscita nell’intento. L’unico modello che in un certo senso non si è mai smarrito è stato forse la Air Presto, che tra l’altro è stata anche più volte protagonista di numerose collaborazioni. Senza dimenticarci naturalmente delle Air Kukini, che proprio nei primi anni 2000 sono state le prime scarpe Nike della storia sulle quali un brand ha collaborato.
Nonostante questo è proprio merito dell’Alpha Project se oggi continuiamo ad assistere ad una rapida evoluzione delle tecnologie delle calzature sportive di Nike. Senza questo progetto probabilmente oggi non staremmo parlando di Hyperadapt, di Flyease, di Vaporfly e di molto altro ancora. Anche se oggi a molte delle persone che si sentono parte di questa cultura quei cinque puntini non evocano nulla, l’eredità dell’Alpha Project continua a vivere. Nella speranza, un giorno, che l’Alpha Project torni a far parlare di sé.