Fra tutte le Air Max presenti nel catalogo Nike dal 1987 ad oggi, la Air Max Plus è sicuramente una di quelle più apprezzate dai collezionisti del retro running e non solo. A oltre vent’anni dalla sua creazione, questo modello, oltre a riscrivere le regole di design delle scarpe sportive dell’epoca, ha saputo vivere nel tempo divenendo un vero e proprio status symbol. Quello che spesso però ci dimentichiamo è che, cosi come quasi tutte le Air Max, anche la Air Max Plus è nata come scarpa da Running. Ma come ha fatto la Air Max Plus a passare da scarpa sportiva a fenomeno culturale di massa in cosi poco tempo? Facciamo un passo indietro e torniamo nel lontano 1997.
Oltre al lancio dell’Air Max 97, quello stesso anno Nike stava lavorando ad un progetto denominato “Sky Air”. Questo progetto, in partnership con Foot Locker, aveva come obiettivo quello di creare una nuova scarpa da running che includesse il Tuned Air (TN), ossia la nuova tecnologia nata dalla combinazione di unità Max Air ed elementi meccanici che avrebbero guidato il piede durante l’impatto col suolo. Strano a dirsi, ma delle oltre quindici proposte portate da Nike a Foot Locker, nessuna fu approvata.
Arrivati a questo punto, entra in scena una figura che si rivelerà poi molto importante per Nike: Sean McDowell. Una volta entrato in azienda, al designer venne subito chiesto di mettersi all’opera su una scarpa che potesse accontentare le aspettative di Foot Locker e che fosse stata appunto dotata di tecnologia Tuned Air. Ironia della sorte volle che il designer, ancor prima di lavorare per Nike, avesse già in qualche modo ideato la scarpa che poi in futuro si sarebbe rivelata giusta per il progetto “Sky Air”. Ora vi spiego meglio. La parola “Sky” rievocò subito nella mente di Sean McDowell un vecchio ricordo. Come rivelò successivamente lui stesso, l’idea del design della Air Max Plus nacque da un vecchio bozzetto (poi archiviato per un progetto futuro) disegnato durante un tramonto che il designer vide in Florida tempo addietro.
“Non appena sentii la parola ‘cielo’, pensai: ‘Oh mio Dio! Ho appena ammirato un paesaggio fantastico in Florida. Ricreai il tramonto. Ne feci uno blu, poi uno viola; provai più di un colore e versioni differenti del cielo, con palme più tecnologiche e geometriche, oppure ondeggianti.”
Il fatto che McDowell fosse appena arrivato in Nike fu determinante anche per il particolare swoosh che presenta la Air Max Plus. Non avendo alcun modello di riferimento per il disegno del famigerato logo, il designer mise il bordo nella parte interna anziché esterna (come prevedono invece le direttive Nike). Il risultato? Uno swoosh leggermente più magro e un po’ più lungo di quello classico.
Su tutta la tomaia McDowell decise di applicare del materiale rifrangente, in modo che chi correva non avrebbe avuto nessun tipo di problema con le auto anche in condizioni di poca luce. Per il colore, visto che il cielo del tramonto è sfumato, Sean McDowell decise di utilizzare per la prima volta su una scarpa Nike la tecnica della sublimazione. Anche se molti inizialmente ebbero delle perplessità riguardo la riuscita di questo processo, il designer americano sapeva che in fondo non ci sarebbero stati problemi per la realizzazione della scarpa.
Nacque così la Air Max Plus, il modello da running con un design innovativo e con un peso minore di 340 grammi. Un vero prodigio per l’epoca. Nonostante i primi prototipi perfetti, vi era ancora un problema da risolvere. La Air Max Plus avrebbe soddisfatto le richieste e le aspettative di Foot Locker? All’incontro andarono McDowell e Mark Parker, inutile a dirlo che fu un successo clamoroso. Un dirigente di Foot Locker presente all’incontro propose addirittura un insolita strategia di marketing: rilasciare la scarpa in negozio nella fascia oraria in cui i ragazzini escono da scuola. McDowell ricorda così quel momento.
“Cinque o dieci minuti dopo, c’erano una decina di ragazzini che si ammassavano intorno alla scarpa chiedendo ‘Cos’è?’, ‘Come possiamo averla?’. “Gli addetti si guardavano intorno stupiti e non sapevano come rispondere, mentre i ragazzini si affannavano per capire come acquistarla. Erano quasi isterici. Ero al settimo cielo.”
La Air Max Plus non solo aveva riscritto le regole dell’estetica delle scarpe sportive dell’epoca, ma aveva anche fatto breccia nel cuore di chi magari non aveva mai corso in tutta la sua vita.
In ogni parte del mondo la Air Max Plus divenne una sorta di marchio distintivo in svariati contesti sociali. In Italia per esempio prese il nome di Squalo (adottato anche dai cugini francesi) e iniziò a spopolare nelle periferie delle grandi città come Milano e Roma. Il fatto che poi avesse quei colori e un retail più alto rispetto alle altre scarpe (circa 150€) aumentava di molto il desiderio di ogni ragazzino. Ben presto i corridoi di tutte le scuole d’Italia vennero invasi dalle “Squalo”.
Se in Italia la Air Max Plus divenne un vero e proprio must per tutti, in Inghilterra, per esempio, questa scarpa prese una connotazione leggermente differente. Non solo legata ad un fattore estetico. È il caso dei Chav, ossia una sorta di parola stereotipizzata utilizzata in Inghilterra per indicare quei gruppi di ragazzi caratterizzati da un comportamento un po’ ribelle e anti-sociale. Il classico outfit dei Chavs? Le tute Nike o di qualsiasi altro brand che avesse i loghi belli in vista e le benamate Air Max Plus ai piedi.
Stessa sorte capitata agli Eshays, questa volta in Australia, i quali considerati veri e propri “gangsta”, si divertivano (e lo fanno tutt’ora) a fare furti, risse e altre scorribande con ai piedi proprio le Air Max Plus e indosso delle polo (possibilmente a righe) e dei borselli.
Alcune silhouette nascono per diventare importanti sotto l’aspetto performante e finiscono per diventare un vero e proprio fenomeno culturale. Ieri come oggi. Questa è la storia delle Air Max Plus.