July 19, 2022

On The Ground: Martina Mosca

On the ground: storie di persone, streetwear e città. In questo episodio scopriamo la realtà di Martina Mosca e del mondo del vintage a Torino

On the ground: storie di persone, streetwear e città. In questo episodio scopriamo la realtà di Martina Mosca e del mondo del vintage a Torino

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Questa è una serie di storie di individui che raccontano sé stessi, le loro passioni e il loro lavoro. Persone unite da un punto di vista chiaro e determinante verso il cambiamento dei trends all’interno delle principali città italiane, quelle in cui sono nati, in cui vivono o in cui hanno vissuto. Ognuno di loro fa parte di un mondo diverso, molti sono legati all’urban culture, altri alla moda, all’arte o al design. Analizzeremo i loro traguardi personali e soprattutto quali sono stati i cambiamenti chiave nello streetwear e nella moda rispetto alla loro visione ed alla loro città. Dopo essere passata a Roma e Milano mi sono spostata a Torino dove ho incontrato Woc e Martina Mosca, giovane imprenditrice e proprietaria di un negozio vintage, che ci ha parlato del suo lavoro e della sua storia.

Chi sei, cosa fai, raccontaci di te.

Ciao sono Martina, ho 36 anni, sono del segno dei pesci e questo fa di me un’eterna sognatrice ed appassionata in tutto ciò che fa. Adoro la cultura Pop in ogni sua forma, la mia infanzia nei favolosi anni 80/90 e la mia vita nei club dai primi anni 2000 ha sicuramente dato adito alla mia ispirazione in quello che faccio. Sono un’imprenditrice torinese, ho un negozio di abbigliamento usato che si chiama Sin Control Vintage. Mi piace sempre poco definirlo negozio, lo trovo riduttivo, mi piace sempre parlare di Progetto perché ciò che facciamo spazia a 360 gradi intorno al mondo moda e cultura. Per me questo non è solo un lavoro, ma rappresenta ciò che sono, la mia esperienza, ciò che mi piace e che in questi anni ha aiutato molto la mia crescita personale. Sin Control non è semplicemente un lavoro/negozio, ma uno stile di vita per me, per le mie collaboratrici e per tutti i lovers che ci seguono.

Da dove sei partita? Come sei arrivata a fare quello che fai oggi?

Tutto è iniziato da quando ero bambina, giocavo a vendere gli abiti che stavano dentro l’armadio di mia nonna. Da adolescente comincio a frequentare i club e rimango affascinata dai travestimenti, dalle mode, dalla diversità. Il piacere rispetto a ciò che indossavo in un determinato ambiente mi ha sempre divertito. Ho studiato giurisprudenza, poi sono diventata istruttrice di nuoto, fino ad arrivare a fare questo: diciamo una peripezia di esperienze lavorative per trovare la vera essenza di me, quello che veramente mi piaceva fare. Mi fa sorridere che il lavoro che svolgo oggi, l’aver trovato la mia strada e la mia passione è iniziato quasi per caso nel 2010 ed è partito tutto da un armadio gigante che avevo a casa.

Vendevo nel tempo libero i vestiti che mi avevano stufato per arrotondare, per potermene comprare ovviamente altri e per condividere questa cosa con le mie amiche che passavano con me le giornate nei più sperduti market di Torino; che se ci penso è quello che ad oggi è ormai consuetudine per tanti. Decido successivamente di mollare tutto, il mio lavoro, la mia famiglia, i miei amici e mi trasferisco ad Ibiza con un furgone carico di vestiti e di sogni senza sapere cosa sarebbe successo domani con un unico obiettivo: cambiare vita e trovare me stessa. Comincio a fare market itineranti nell’isola e la cosa comincia a gasarmi, le persone erano davvero interessate alle mia selezione di capi e tutto ciò era davvero eccitante e gratificante. Terminata la scorta, con cui sono riuscita a sopravvivere due anni, decido di iniziare a fare ricerca perché vendere usato mi interessava più che comprare cose nuove da rivendere. Comincio a cercare aziende che rivendevano vintage in Europa e a viaggiare per scoprire e capire di più sul funzionamento di questo meccanismo. Trovate le aziende ideali comincio a cercare gli abiti che avevano segnato la mia infanzia, che prendevano ispirazione dalle mode, dai trend e dai film e i telefilm di fine anni ‘80 inizi ‘90 (Fresh Prince of Bel Air, Do the right thing, Sister Act, etc..).

Così è cominciato tutto e se oggi guardo l’evoluzione della mia azienda, il duro lavoro che c’è stato e che c’è ogni giorno per essere al passo con le tendenze, lo scambio di idee, ispirazioni e cultura, sono veramente fiera di ciò che abbiamo costruito. Ho colto un momento, ho captato una vibe che circa due anni dopo sarebbe esplosa e mi ci sono buttata a capofitto senza sapere come sarebbe andata, ma per il semplice piacere di fare qualcosa che mi appassionava. Sono fiera che siamo nate per una passione, un credo senza studi di settore e non per fare di questo semplice commercio. Posso davvero dire che tutto questo percorso mi ha portato ad evolvermi e sentirmi davvero realizzata.

Come mai il nome Sin Control? 

Quando stavo mettendo in piedi la mia futura azienda vivevo a Ibiza e mi muovevo sull’isola con il mio furgone per fare market. Un giorno tornando a casa lessi su un muro “Sin Control”, che in spagnolo significa senza controllo, fu subito amore, il nome descriveva perfettamente la mia selezione di capi: senza schemi, senza regole, senza che qualcuno dovesse dire come e chi dovesse indossarli.

Com’è cambiato l’approccio delle persone nei confronti dell’abbigliamento Vintage e del second hand nel corso degli anni secondo te?

In Italia quando ho cominciato c’era parecchia disapprovazione, non eravamo pronti. Comprare usato era davvero di nicchia. Quando ti approcciavi alle persone molte volte storcevano il naso, l’idea di acquistare un capo di seconda mano non era ben vista, per non parlare poi dei capi più particolari e colorati, che in alcune fiere di provincia, alla sola vista, venivo molte volte derisa. Le risposte più comuni erano “ce l’aveva mia nonna nell’armadio”, “è fuori moda”, “se devo prendere qualcosa di usato, me lo compro nuovo”, “ma lo devo lavare” e così via. In Italia ci sono ancora dei limiti, probabilmente per la presenza delle grandi case di moda e dall’idea che abbiamo dell’abbigliamento radicato in noi come popolo. In stati come l’Inghilterra sono avanti anni luce sul pensiero di acquistare capi usati; se un capo unico e ricercato ha qualche imperfezione viene valorizzato e acquistato lo stesso.

Vedo comunque buoni margini di miglioramento all’approccio. Il vintage è l’altro versante dell’imitazione, l’alta moda stessa si basa sul passato per creare l’attualità. Quindi l’esplosione e la popolarità del vintage, oltre a questo, penso sia avvenuta anche perché le persone sono sempre più consapevoli e cercano una via di mezzo tra l’alta moda ed il fast fashion, che li aiuti a connettersi molto più facilmente con se stessi, con i trend e anche soprattutto per un fattore economico. Il vintage ti permettere di essere ben vestito ma a dei prezzi più accessibili. C’è la tendenza a pensare che “usato” sia sinonimo di “basso costo” ma non è più così per tutti i motivi che ho elencato prima. I fornitori avevano disponibilità maggiori anni fa perché c’era meno richiesta, i costi erano minori, quindi con la popolarità del vintage si fa molta più fatica a trovare items e a mantenere dei prezzi competitivi.

Quanta ricerca comporta avere un negozio Vintage e quali sono i processi che affronti?

È diventato difficile far capire alle persone la questione ricerca ma non ci arrendiamo al nostro credo. Mi piace pensare che questo non sia semplicemente un negozio dove si vendono cose per creare un guadagno, ma è un progetto attorno al quale gravitano tante idee e tante persone creative che ci lavorano e ci si approccia ad ambiti come social media, styling, servizi fotografici, video, community e cultura. Le mie collaboratrici, insieme a me, lavorano in negozio, assistono, consigliano e seguono passo dopo passo tutte le persone che scoprono il nostro mondo, coinvolgendoli e facendoli appassionare, ricercano i trend attuali e ipotetici futuri, selezionano i capi dai fornitori, seguendo linee guida, lavorano giornalmente al nostro e-commerce, pianificano il nostro IG con contenuti di vario genere e importano i capi su tutte le piattaforme su cui vendiamo. C’è un grande lavoro dietro, quindi non mi piace tanto quando si scredita definendo il vintage caro. Ovviamente tutto dipende da come l’azienda lavora, che cosa propone al suo pubblico, in che modo e a quali idee etiche si fa fede.

Tengo alla ricerca, all’educare le persone, a fare dei bei progetti, collaborazioni e soprattutto a dare un contratto duraturo e a stimolare sempre con nuovi obiettivi le persone che lavorano e costruiscono questo sogno con me, che colgo l’occasione per ringraziare immensamente perché sono la linfa vitale che tiene sempre viva e attuale la mia azienda e anche me. Questo ovviamente comporta dei costi ma non è bellissimo pagare anche qualche euro in più un capo super top, di qualità e dare vita a posti di lavoro e cultura? Io credo di si, lo trovo dignitoso per le nuove generazioni e per chi vuole credere ancora nella realizzazione dei propri sogni. Altra cosa di cui vado molto fiera è che siamo un gruppo tutto al femminile, lo definisco un movimento “girl power”, sono delle guerriere le mie ragazze. Insieme potrebbero conquistare il mondo, sono in grado di fare tutto e gestire ogni cosa. Avere un team di persone tutte diverse tra loro, con un nesso comune ma che danno input diversi a questa azienda è stupendo e davvero stimolante.

Quali sono secondo te i trend che hanno contraddistinto Torino e che hanno condizionato l’andamento della moda in questi anni?

Da buoni torinesi, e per non tradire la nostra nomina di Berlino italiana, i trend da noi lanciati sono sempre prima approdati nei gruppi di persone che frequentano i club. Prima erano quelli più underground e gli outfit più richiesti erano sicuramente quelli da nightclubbing perché lì era più semplice e anche stimolante essere diversi. Il mondo del club era quello un po’ più aperto a questo tipo di abbigliamento. Poi il vintage si è diffuso, le celeb hanno cominciato ad indossarlo e a influenzare le persone e i più giovani a ricercare capi per essere più cool anche di pomeriggio o a scuola. Anche con la pandemia sicuramente le cose sono cambiate, hanno iniziato a frequentare meno i club, ma si sono aperte di più al mondo dell’internet e secondo me si sono rese conto che certe cose potevano comunemente essere indossate tutti i giorni. Se prima i clienti erano quelli che frequentavano le serate, ad oggi sono persone comuni che con il tempo si sono abituate a comprare vintage. Mi fa piacere che il trend abbia allargato le sue vedute.

Ora vengono a farsi il look per andare a scuola, in ufficio, al matrimonio, all’evento. Si lasciano ispirare e osano di più. Quello che vorrei negli anni è che il target si alzasse e che abbracciasse più tipologie di persone e fasce di età molto più ampie. Ho iniziato da super giovane, nel frattempo sono cresciuta, quindi mi piacerebbe che la clientela crescesse con me e mantenesse, anche in età adulta, la sua unicità. Ad esempio, con il trend Y2K salta subito all’occhio che non sia più una cose del territorio, ma che sia un trend globale, non è più un qualcosa che vedi solo per le strade della tua città. Le persone si lasciano ispirare e osano di più.