July 1, 2021

No Curator | Daniel Arsham

This article is part 15 of 14 in the series: No Curator

Daniel Arsham è un artista contemporaneo il cui lavoro, è risaputo, studia l’effetto del tempo e della percezione su oggetti, spazi, idee oltre che sul suo pubblico. Arsham è un leader dell’ultima generazione di artisti; emerso dal mondo dell’arte per entrare a far parte della cultura popolare, ha ottenuto un successo ancora maggiore con pezzi da collezione resi accessibili grazie a importanti collaborazioni e pubblicazioni uniche.

Siamo felici di annunciare una partnership ufficiale pluriennale con Daniel Arsham. Una collaborazione incentrata sul sostegno alle nuove generazioni attraverso finanziamenti per l’educazione in campo artistico, sulla promozione degli artisti emergenti, sulla creazione di un modello per un equo compenso attraverso pubblicazioni affidate alla vendita diretta al consumatore, e sulla creazione di un mercato secondario affidabile per i prodotti di Daniel Arsham. Per saperne di più su Daniel Arsham x StockX, dai un’occhiata all’annuncio della partnership.

Per comprendere meglio il lavoro, il processo e le fonti di ispirazione di Arsham, in questa edizione di No Curator lo abbiamo incontrato al Library Street Collective prima della sua mostra Turning Wrenches.

StockX: How would you describe your design process?

Daniel Arsham: Credo che in realtà il design consista nell’individuazione di una sorta di intenzione nelle opere d’arte. L’obiettivo finale è un po’ più astratto.

Credo che ci sia una grande differenza tra il mio modo di pensare a un’opera d’arte (e ciò che essa può fare e significare) e quello di pensare a qualcosa di funzionale come una sedia o un oggetto con uno scopo specifico. In un certo senso traggo molta ispirazione dai viaggi, dalla ricerca, o semplicemente dal prestare attenzione. Può apparire banale, ma cerco costantemente di osservare l’interazione delle persone con il mondo che le circonda, un po’ come ricercare la magia nel quotidiano.

Quando hai cominciato a dedicarti a tempo pieno al tuo lavoro creativo?

Credo di aver iniziato a vivere una sorta di dedita attenzione verso il mio mestiere. Dopo il liceo, sono andato a scuola alla Cooper Union di New York: quella, effettivamente, è stata una decisione che riguardava la ricerca di un futuro nel mondo dell’arte.

Qual è stata la prima scultura erosa e cristallizzata che hai creato? E come è nata?

Il primo tipo di oggetto archeologico immaginario che ho realizzato è stato il calco di una macchina fotografica; poco più di dieci anni fa. L’idea era quella di trasportare la nostra esperienza in un futuro immaginario. Come se si potesse viaggiare da qui a mille anni e testimoniare i resti, i relitti archeologici della propria vita, le proprie esperienze; da lì la cosa si è evoluta in varie iterazioni.

Cosa è cambiato in questi 10 anni? Come si è modificato il tuo processo creativo?

Quanto al cambiamento, molto ha a che fare con la mia abilità. Il primo calco di una macchina fotografica che ho realizzato era di cenere vulcanica. Ricordo che quando sono tornato in studio, il giorno dopo averlo realizzato, si era come sciolto e disintegrato. E sebbene questi oggetti abbiano la qualità visiva del decadimento, non devono continuare a disintegrarsi; dico bene? Devono essere riparati. Quindi gran parte del progresso del mio mestiere è legato alla sperimentazione con diversi materiali nel tempo.

Il tuo lavoro ti ha già portato a Detroit: The Cranbrook show nel 2019, The Beach sempre nel 2019, la riprogettazione del Library Street Collective l’anno scorso nel 2020. Hai notato dei cambiamenti ogni volta che tornavi in città?

È stato interessante veder crescere Detroit negli ultimi cinque o sei anni. La trovo incredibile. Snarkitecture, il mio studio di design, ha progettato una galleria (al Library Street Collective) ed è stata la prima occasione in cui ho potuto esporre dei lavori all’interno di uno spazio che noi stessi avevamo creato.

Il dettaglio principale è una specie di portale sulla parte anteriore dell’edificio.Penso che ci sia un’energia diversa qui a Detroit. Chiaramente questo spettacolo è incentrato sulla cultura automobilistica, ovvero la vecchia spina dorsale della città. Ma ogni volta che vengo qui mi sembra che le cose siano in movimento.

È in costante evoluzione. Mi è piaciuta l’espressione “vecchia spina dorsale”. Quale credi che sia l’attuale spina dorsale della città?

Voglio dire… fenomeni come StockX… potrebbe essere l’ambiente da cui sono circondato, ma ci sono tanti artisti qui. C’è tanta cultura. Mi sono imbattuto in persone che mi hanno riconosciuto al bar dicendo: “Grazie per aver realizzato tutto questo a Detroit”. Penso che qui ci sia un certo livello di apprezzamento per la cultura che sa di novità. C’è tanto potenziale, il che è molto interessante se vieni da un posto come New York, dove novità e cultura sono tratti essenziale del carattere della città.

Cosa ti entusiasma di questa partnership?

Ovviamente, il fatto che il mio lavoro sia su StockX. Posso produrre solo una certa quantità di lavori, quindi ci sarà una sorta di mercato secondario per ciascuna serie. Ho iniziato a parlare con i ragazzi di StockX, sia dell’autenticazione del mio lavoro che delle strade possibili per sostenere artisti e creativi che si trovano all’inizio della loro carriera (attraverso iniziative educative, attraverso Cooper Union o tramite un supporto diretto agli artisti). Ho riscontrato molta ricettività rispetto all’idea di riprendersi parte dei proventi derivanti dalla vendita di opere d’arte per restituire valore alla comunità che le ha effettivamente prodotte.

Quali sono gli obiettivi di una partnership come questa per il tuo lavoro?

Ci sono diversi livelli di partnership. Alcuni sono stati il risultato di una collaborazione, come le cose che ho fatto con adidas o Porsche. Il lavoro che sto facendo con StockX è un po’ diverso perché sto fornendo dei consigli su come costruire uno scenario in cui gli artisti possano effettivamente beneficiare della partecipazione di StockX a questo mercato. Il sistema delle gallerie è già impostato, e quando sei un giovane artista che cerca di capire come esporre in una galleria, generare un reddito personale grazie al tuo lavoro può essere inizialmente difficile.

Sono convinto che una piattaforma come StockX, dove in un certo senso è possibile bypassare l’intermediario, abbia del potenziale. Gli artisti possono presentare il loro lavoro direttamente al pubblico. Capire esattamente come farlo sarà una sfida, ma sono felice di vedere che il team di StockX è realmente interessato a realizzare questo tipo di supporto. Ritengo che in qualche modo questo abbia a che fare con la sensazione che si ha qui a Detroit: un senso di costruzione e di sostegno, non solo verso questa comunità, ma verso gli artisti in generale.

Riguardo alle dimensioni del mercato, quale può essere lo scopo di un mercato secondario dell’arte secondo te?

In realtà posso produrre solo una certa quantità di opere. Tutti i lavori qui dentro sono pezzi unici, e alcuni di essi potrebbero richiedere fino a un anno di lavorazione in studio. Ho iniziato a realizzare lavori basati su delle serie perché volevo coinvolgere un pubblico più ampio, globale, che includesse le persone che non hanno risorse o disponibilità di spazio sufficienti per collocare queste opere. Così ho iniziato una serie chiamata Future Relic, composta da più parti. Si tratta di una serie da 500 pezzi, si sarebbero venduti rapidamente, e ovviamente c’erano più persone a volerne di quanti ne potessi mai realizzare.

Quindi, in parte, si tratta di facilitare l’accesso alle opere per quelle persone che vogliono completare un set o ingrandire una collezione. È il rapporto tra domanda e offerta. La quantità di oggetti che posso produrre è limitata soltanto dal tempo che ho a disposizione.

A tal proposito, credi che ci sia differenza tra l’arte e i tuoi prodotti?

All’inizio, quando ho collaborato con adidas, Porsche o Dior, credo che ci fossero delle esitazioni da parte di alcuni dei miei più grandi collezionisti. Avevano una posizione del tipo “come puoi permettere che questo marchio o questa entità utilizzi il tuo lavoro per vendere i suoi prodotti?”. La mia risposta è che hanno una portata enorme. Parlano a tutti coloro che non sono nel mondo dell’arte, in effetti utilizzo le loro piattaforme per raggiungere un pubblico molto più ampio; senza ingannarli, ma portando l’arte nella loro vita di tutti i giorni attraverso degli strumenti che diversamente non avrebbero potuto conoscere.

Credo che le mie serie si intreccino a questo discorso. E non è niente di nuovo. Voglio dire, artisti degli anni ’60 come Warhol producevano delle opere che si confrontavano con l’esperienza quotidiana della gente. Pubblicità e cultura del consumo. Warhol era famoso per aver trasformato gli oggetti della vita quotidiana in opere d’arte.

Sono curioso di sapere come sarà la situazione tra dieci anni. La nostalgia è un tema importante in questo momento, specialmente nel tuo lavoro. Man mano che arrivano nuove generazioni di giovani, come credi che possa evolversi il mondo dell’arte?

All’interno del mio gruppo di lavoro ci sono diverse aree di interesse. Una di queste è l’archeologia immaginaria, ma ho anche realizzato un’intera serie di dipinti incentrata su altri concetti. Poi c’è un gruppo di opere che manipolano l’architettura, alterano la superficie delle pareti con orologi in movimento e figure varie. Quindi credo che nel prossimo decennio proseguirò con delle iterazioni in ciascuna di queste aree, magari introducendo anche qualcosa di nuovo.

Pensi che ci sia un’area in particolare a richiamare più attenzione? Come si distribuisce la tua ispirazione tra queste tre ambiti?

Si. Voglio dire…mi muovo continuamente tra diversi mezzi e concetti. Normalmente per questo tipo di mostra sull’archeologia immaginaria mi concentro su un’area di interesse specifica. Ho organizzato mostre con al centro lo sport, la musica, e visto che siamo a Detroit, anche questa idea della Motor City (per Turning Wrenches), confrontandomi con la storia automobilistica della città e il mio interesse personale per queste auto.

Cosa speri che i giovani artisti possano ottenere dalla partnership Daniel Arsham x StockX?

Una delle cose che ritengo più importanti nel mio lavoro di beneficenza è il sostegno agli artisti che sono al college. Ho frequentato una scuola grazie una borsa di studio che copriva l’intera retta, e questo mi ha permesso di andare a scuola a New York e di studiare con professori e artisti straordinari. Per questo abbiamo creato un meccanismo grazie al quale i profitti derivanti dalla rivendita dei miei lavori su StockX verranno reindirizzati verso la comunità degli artisti tramite il supporto all’istruzione della Cooper Union. Ho sostenuto la Cooper quando ho potuto, dopo essermi laureato. Ma credo che questa sarà una spinta enorme in un momento in cui molti studenti hanno bisogno di un supporto diretto per proseguire la loro formazione artistica.

Per saperne di più sulla partnership Daniel Arsham x StockX, clicca qui.