Sneakers - May 12, 2022

So Deep #6: La Sneakers Culture nel segno della adidas Superstar

Prima dell’hype, lo streetwear era il modo più antisociale per ribellarsi: jeans baggy, visiere a becco e sneakers. adidas è stato uno dei primi brand a definire l’estetica hip-hop, tramite le adidas Suprestar e i Run D.M.C.

Prima dell’hype, lo streetwear era il modo più antisociale per ribellarsi: jeans baggy, visiere a becco e sneakers. adidas è stato uno dei primi brand a definire l’estetica hip-hop, tramite le adidas Suprestar e i Run D.M.C.

Alessandro Ranieri

Per definire il presente in cui viviamo è d’obbligo guardare indietro nel passato. La storia è fonte d’ispirazione, ci affascina e ci fa risalire alla mente dei momenti di nostalgia. Riguardando l’esibizione live dei Run D.M.C., il 19 luglio 1986 al Madison Square Garden, di “My Adidas” che segnò l’inizio dell’ ossessiva sneakers culture. Era la prima volta che un brand diventava il tema centrale di una canzone e il brand tedesco non poteva che esserne felice. Il ruolo di adidas divenne il più importante per la crescita dell’hip-hop e dello streetwear moderno.

La canzone non era stata creata tramite una sponsorizzazione con adidas, ma un messaggio d’amore trasparente. Come rivelato da Daniel McDaniels nel documentario del 2005 Just For Kicks, “My Adidas” è nato come risposta ad una canzone anti-sneaker chiamata “Felon Shoes”, registrata per scoraggiare i ragazzi a scimmiottare lo stile dei detenuti in prigione. Ogni prigioniero indossa le proprie scarpe senza lacci per evitare di utilizzarli come possibili armi, così i Run D.M.C., da questo dettaglio storico, crearono una rivoluzione culturale immensa.

Il regalo d’immagine più importante per la crescita di adidas 

Tra il pubblico di quella tappa del tour, c’era anche Angelo Anastasio, all’epoca un dirigente di adidas, che rimase estasiato da quella esibizione senza precedenti. Tutto il pubblico cantava con le proprie Superstar in aria. Un atto di marketing puro, creato direttamente dai fan. 

Dopo quella storica esibizione, i Run D.M.C. conquistarono un contratto da un milione di dollari con adidas, aprendo la strada al rapporto d’amore tra rap e fashion.

Una semplice tracksuit acetata, il classico berretto Kangol e la Superstar avrebbero cambiato per sempre i canoni della cultura pop odierna. Grazie ai Run D.M.C. venne sdoganato il nuovo prototipo del rapper moderno, desideroso di mettere in mostra i suoi pezzi migliori in termini d’abbigliamento. 

“È stato qui che i marchi di abbigliamento sportivo hanno capito che il mondo oltre lo sport era lì per essere preso, e che le collaborazioni – da designer, artisti, attori e marchi più piccoli e agili – potevano portarli in posti dove non potevano andare da soli” scriveva Gary Warnett.

Il mito intramontabile della adidas Superstar

Il modello Superstar era stato, originariamente, introdotto nel 1969 esclusivamente per i giocatori di basket NBA dove si conquistò il soprannome di “shell toe” per la punta a forma di conchiglia. Prima della risurrezione, grazie ai Run D.M.C., la Superstar era passata agli annali ed era stata dimenticata. Il 1986 è stato cruciale nel riportare in vita la scarpa e dar inizio all’economia della sneakers culture. Chiunque, in ogni quartiere periferico d’America, risparmiava per comprarsi un capo adidas: qualsiasi cosa targata con il trifoglio era il più grande desiderio. 

adidas, negli anni ‘80, era il brand sportswear per eccellenza e il re incontrastato. Il suo valore culturale rimandava ad eventi sportivi indelebili. Come l’incontro tra Muhammad Ali e Joe Frazier, nel 1972, dove entrambi indossavano stivali da boxe targati adidas. O i goal della Nazionale Argentina di calcio, vincitrice del Mondiale 1978, sempre segnati con il “Tango”, il pallone ufficiale del torneo di adidas. L’incontro con il trio rap fu una manna dal cielo e una delle migliori partnership involontarie di sempre.

adidas superstar vintage

Non è solo una sneakers, ma un simbolo culturale

A quel tempo, il trio si era ribellato all’estetica pettinata dell’industria musicale. Molti rapper come Grandmaster Flash e Afrika Bambaataa, invece, si mostravano in pubblico con abiti fiammeggianti e chiari riferimenti alla disco anni ‘70.  Indossare “il brand con tre strisce” e scarpe da ginnastica erano impensabili per un artista, ma il messaggio di integrità ed unione era il vero successo di questa rivoluzione stilistica. Per la maggior parte dei b-boy, adidas era il punto di riferimento con cui identificarsi nella società. 

“I Run-DMC hanno dato all’hip-hop il proprio look non vestendosi come delle star, ma semplicemente vestendosi come la comunità da cui proviene la musica”, dice Shad Kabango, rapper e presentatore della serie tv “Hip-Hop Evolution”. L’abbigliamento ti definiva sin da subito, soprattutto il modo di vedere il mondo attorno a te. 

L’incontro tra adidas e i Run D.M.C. ha definito un’epoca, tale da rappresentare un punto di inizio per il mercato streetwear che conosciamo oggi. Un punto di non ritorno indelebile nella mente di ogni appassionato.